Su cosa sarà misurata la nostra generazione

31 Dic 2022 | Politica

Il ritorno della guerra in Europa, il Covid, la rivoluzione antropologica, la de-globalizzazione. Tocca a noi dimostrare di potere incidere in ambiti a tratti inesplorati

Ogni generazione ha il compito di interrogarsi e comprendere quale responsabilità le è chiesta dalla fase storica nella quale vive. I nati nell’ultimo ventennio del secolo scorso, i cosiddetti Millennial, sono i protagonisti di questa nuova transizione, un cambiamento d’epoca, come descritto dall’intuizione profetica di papa Francesco. Questa domanda sul compito di una generazione è emersa sottotraccia dai tanti dialoghi che negli ultimi mesi ho avviato tornando alla politica attiva, incontrando universitari, giovani lavoratori e famiglie. Ho toccato con mano il desiderio di essere protagonisti di una nuova costruzione, di essere dentro la battaglia.

Il sociologo Edgar Morin aveva descritto già negli anni Novanta un mondo caratterizzato da “policrisi”: le emergenze interagiscono ad un livello così profondo che il loro effetto risulta moltiplicato sia nella percezione individuale che nell’immaginario culturale. Il cambiamento d’epoca sembra essere segnato da crisi multiple e ricorsive che ridefiniscono i confini di ciò che credevamo aver conquistato. La guerra russa in Ucraina sta accelerando la delimitazione di nuove aree geografiche di potere, il Covid ha cambiato i confini del rapporto tra cittadino e Stato, la rivoluzione antropologica apre piste di modificazione dell’umano sino alla sua sostituibilità, la de-globalizzazione pone l’urgenza di trovare nuove vie di sviluppo sostenibile. Nei fatti, per la prima volta dopo il secondo dopoguerra, il futuro appare più fosco del passato, cade il mito delle “magnifiche sorti e progressive”.

Protezione in cambio di libertà?

«Negli anni Settanta, che tu fossi un eurocomunista, un ecologista o un conservatore in preda all’angoscia, potevi comodamente attribuire tutte le tue preoccupazioni a un’unica causa – il capitalismo, troppa o troppo poca crescita economica o un eccesso di diritti acquisiti», ha scritto Adam Tooze sul Financial Times a fine ottobre. La generazione dei nostri padri ha guardato alla rivoluzione sociale o al neoliberismo come le ricette per superare quelle crisi. Ancora più specificamente, chi di quella generazione ha condiviso la tradizione del cattolicesimo popolare provò a calmierare il liberismo con una vena comunitarista, affrontò la rivoluzione sessuale affermando il grande segno della famiglia, contestò l’ateismo comunista e materialista con una presenza culturale e politica. Hanno combattuto la buona battaglia, ci hanno lasciato un’eredità.

La nostra generazione verrà misurata sull’incidenza che avrà in ambiti a tratti inesplorati: pace e sviluppo, libertà e sicurezza, ragione e diritto.

La guerra ha riportato sul suolo europeo un conflitto di lunga durata che si vuole risolvere con l’antico paradigma delle relazioni tra Stati fondato sulla forza. Un primo banco di prova, allora, sarà per noi la costruzione della pace tramite la composizione delle forze divergenti dell’interesse nazionale e della dimensione continentale-atlantica.
Gli ultimi anni hanno registrato tendenze di ri-centralizzazione e ri-statalizzazione delle politiche pubbliche. A causa delle forti crisi economiche che hanno intaccato il benessere del ceto medio, è cresciuto il bisogno di protezione sociale. I cittadini europei chiedono uno Stato più forte e sono pronti a concedere pezzi della propria libertà. Una seconda sfida, allora, è sostenere la società e la sua capacità di intrapresa dentro un rapporto nuovo, non dipendente ma sinergico, con lo Stato. Più società con lo Stato, come scrive Luca Pesenti.

L’enigma dell’uomo

La corsa in avanti delle tecnologie di comunicazione e di procreazione ridefinisce i limiti dell’umano. La potenza dell’immagine e dei desideri sostituisce la relazione di senso. Un terzo pungolo per la nostra generazione riguarda la sfida che la rivoluzione antropologica pone alla ragione e al diritto. La riscoperta dell’enigma dell’uomo, come indicato da Alberto Frigerio, può aprire la strada ad una nuova dimensione culturale e pubblica.

Oggi tocca a noi. Il coraggio, la determinazione e la libertà per affrontare questo momento storico non ci vengono da fuori, possiamo solo estrarle dalle viscere. La saggezza e la giustizia per capire i passi da compiere vanno mendicate e apprese lungo la strada. La mia sola speranza è che il nostro punto di origine sia paragonabile a quel «mi scalpita in petto un cuore di fanciullo» che Paolo Takashi Nagai scriveva dal nyokodō.

Articolo pubblicato sulla rivista Tempi di Dicembre 2023