La prima responsabilità della politica è per la Libertas Ecclesiae

31 Ott 2022 | Politica

I politici sono chiamati ad essere generati nel rapporto con la propria gente. “Competenza” viene dal latino competĕre, “andare, chiedere insieme”; esprime una dimensione comunitaria.

Dopo le elezioni del 25 settembre, tanti si chiedono quali saranno le prospettive e le responsabilità del prossimo governo di centrodestra nella delicata contingenza storica di transizione globale che viviamo. Da parlamentare neoeletto mi interrogo su cosa significhi governare una Nazione in un tale frangente. Se nella realtà italiana molte sono le urgenze, le aspettative e i problemi strutturali da affrontare, è d’altronde vero che l’arte del governo rimanda a qualcosa di più profondo e tiene insieme sia la dimensione ideale che quella pragmatica.

Nella ricostruzione post-bellica, con l’Italia ancora sotto le macerie non solo fisiche ma anche morali e istituzionali, Alcide De Gasperi conia quell’espressione divenuta famosa: «Politica vuol dire realizzare». Eppure, pochissimi conoscono il resto del testo da cui è tratta la citazione. Nel discorso ai dirigenti lombardi della Democrazia cristiana tenuto il 23 aprile 1949 a Milano, il presidente del Consiglio arringa: «Io mi domando: come si superano queste difficoltà? Ammettiamo che c’è sempre un lato tecnico nei problemi. Prendete ora la riforma agraria. Ha il suo lato tecnico: non bisogna sbagliare sulla applicazione pratica di una regola di giustizia, non bisogna sbagliare dal punto di vista finanziario. Politica vuol dire realizzare. Tutti questi problemi sono problemi tecnici e quindi discussione ci deve essere, ci deve essere ampia possibilità di fare delle obiezioni in modo da realizzare uno studio molto serio che tenga conto dei diversi punti di vista. Ma tutto questo serve ancora a niente, se non c’è la sete di giustizia».

De Gasperi con la formula «sete di giustizia» dà un’idea plastica e viva del bene comune: una verità vissuta nella carne. Una sete, un’urgenza di giustizia e quindi, ultimamente, di verità. L’arte del governo vive dunque su un prerequisito, sopra una base minima seppur solidissima: l’esistenza di un punto di fuga nella persona, di una trascendenza nel soggetto come suo elemento costitutivo. Può la politica prescindere da questo? No, soffocherebbe l’uomo nel potere. Può disinteressarsene pensando che faccia parte di un altro emisfero a sé stante? No, distruggerebbe i suoi presupposti.

L’ideale che sostiene l’esistenza

Ecco perché – a maggior ragione oggi che la questione religiosa è confinata nel perimetro personale, cacciata dalla sfera pubblica se non quando denigrata o svalutata – chi si occupa della res publica ha come prima responsabilità la tutela della libertà della fede (la famosa Libertas Ecclesiae). Sono infatti le tradizioni religiose ad alimentare l’intangibilità del soggetto e a sostenere una convivenza civile pacifica e positiva.

La giustizia allora non può essere ridotta a procedura o a mera competenza. Non è un ambito riservato agli esperti. La politica è altro, è di più: attiene alla declinazione pubblica dell’ideale che sostiene la propria esistenza. La competenza è un requisito dell’azione politica ma non fa parte del suo livello di visione, dell’interpretazione che essa dà dell’uomo, della società e della storia. In più, la competenza non può essere astratta, imparata solo sui libri, ma deve informarsi dentro una commistione continua con la concreta condizione vissuta dal popolo che vuole rappresentare.

Battaglie nate dalla nostra vita

Per questo i politici sono chiamati ad essere generati nel rapporto con la propria gente. L’etimologia di competenza viene infatti dal latino competĕre, “andare, chiedere insieme”, esprimendo quindi una dimensione per sua natura comunitaria.

Il prossimo governo sarà all’altezza del compito che ha di fronte se saprà rispondere ai bisogni degli italiani avendo negli occhi il destino a cui ciascuno di noi è chiamato.

Libertà di educazione, natalità e intangibilità della vita, sostegno all’impresa e centralità del lavoro come forma di compimento di sé: per noi tutto questo non è mai stato un vessillo da brandire ma battaglie culturali e politiche nate dalla nostra vita, che ancora oggi definiscono quella sete di giustizia che non ha mai abbandonato il nostro cuore.

Pubblicato sulla Rivista Tempi di Ottobre