Governo forte sì, ma anche autonomie. Una via italiana al presidenzialismo c’è

10 Set 2022 | Politica

Le riflessioni sulla forma istituzionale si polarizzano in genere attorno a due nuclei: governabilità da un lato, rappresentatività dall’altro. Perché invece non cercare un equilibrio?

Ondate cicliche riportano in auge il dibattito sulla forma istituzionale della Repubblica italiana. Sin dai lavori in Assemblea costituente il tema era vivo. La giustificata paura dell’uomo solo al comando allontanò ogni ipotesi di governo forte o di presidenzialismo. Alla fine degli anni Settanta, l’onda tornò a salire. Professori come Miglio e Sartori, piccole frange della Democrazia cristiana e partiti organizzati come il Partito socialista di Bettino Craxi e il Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante sostenevano la necessità di una maggiore governabilità attraverso l’elezione diretta e il rafforzamento del ruolo del presidente della Repubblica. E oggi, dopo i tentativi della Bicamerale D’Alema e di Berlusconi negli anni Novanta, il vento delle elezioni causa un nuovo moto ondoso.

I modelli di riferimento a cui guardano i presidenzialisti italiani in questa campagna settembrina sono, da un lato, la Francia – di cui le proposte di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) e Stefano Ceccanti (Partito democratico), seppur con alcune importanti differenze relative alla sfiducia costruttiva, ricalcano la struttura – e, dall’altro, gli Stati Uniti.

La formula americana prevede l’elezione diretta del presidente distinta e distante da quella delle Camere, con una rigida separazione tra esecutivo e legislativo. Proprio su questo punto si sostanziano le critiche europee: tale separazione può ingenerare blocchi di sistema tra i due poteri.

L’idea di Miglio

Il modello francese, oltre a prevedere l’indicazione diretta del capo dello Stato eletto a doppio turno per garantirne la più ampia legittimazione, mantiene invece un rapporto fiduciario tra parlamento e governo, configurando un esecutivo “bicefalo” tra presidente della Repubblica e primo ministro, i quali condividono il potere esecutivo, talvolta con qualche tensione dovuta alle legittime aspirazioni personali o alla configurazione delle maggioranze parlamentari.

Nonostante le critiche, il grande beneficio di queste soluzioni è la stabilità del governo e delle figure istituzionali soprattutto in un quadro di partecipazione europea e di relazioni atlantiche intensificate.

Il tema, non semplice, si complica inserendo un’ulteriore variabile: se andassimo verso il presidenzialismo, non rischieremmo di passare dall’irresponsabilità di governi brevi al centralismo di governi burocratici? Dai governi balneari della Prima Repubblica alle reggie di Versailles distaccate dal popolo e dai suoi bisogni?

Proprio per evitare questi rischi nel recente passato un esimio studioso come Miglio e una forza originale come il Movimento popolare pensarono di accoppiare presidenzialismo con federalismo, stabilità e autorevolezza del potere centrale con effervescenza e libertà dell’azione locale. D’altronde buona parte delle riflessioni sulla forma istituzionale si polarizzano attorno a due nuclei, quello della governabilità e quello della rappresentatività: si sostiene che se c’è la prima, si sacrifica la seconda (e viceversa). Nella stragrande maggioranza dei casi, quando si evoca il presidenzialismo (o comunque una riforma costituzionale) si ha l’obiettivo di scegliere uno dei due termini di tale polarizzazione. Procedere così è forse troppo semplicistico e a tratti fuorviante. Al contrario, occorre trovare un nuovo equilibrio capace di far convivere l’esigenza di avere degli esecutivi con una chiara maggioranza parlamentare e, al contempo, la necessità di garantire un’ampia rappresentatività. Perché non rilanciare autonomia e presidenzialismo assieme?

Non bastano i manuali di diritto

Da questo punto di vista, hanno ragione coloro che sostengono che non basta una modifica della legge elettorale per garantire tale equilibrio. È necessario pensare un disegno organico che non ricalchi soltanto modelli adottati da altri paesi, ma esprima una specificità italiana.

Infine, uno nota di metodo. Come sostenuto da Marcello Pera, se deve essere definita una nuova conformazione del nostro assetto istituzionale, essa non dovrà essere il risultato di una scelta tra opzioni definite nei manuali di diritto (pur fondamentali!), ma il frutto di una riflessione ampia, capace di coinvolgere i diversi attori sociali. La legislatura che si aprirà nelle prossime settimane dovrebbe assumere questo compito. Sembra un auspicio ardito, forse persino utopico, eppure lasciare un piccolo segno nella realtà è un compito avventuroso.

Pubblicato sulla Rivista Tempi di Settembre