Cosa insegna il voto francese alla destra “identitaria”

28 Mag 2022 | Esteri

Il gioco attraente ma fin troppo lineare ha trovato il suo spazio – gli scontenti, gli arrabbiati della modernità – senza però riuscire a uscire dalle secche populiste

La politica europea attendeva con trepidazione, e forse con ansia, le elezioni presidenziali francesi. Lo tsunami lepenista era uno scenario improbabile, eppure l’ipotesi di un’affermazione populista ha impaurito l’establishment continentale. I numeri parlano chiaro e indicano una netta affermazione di Emmanuel Macron, in vantaggio di 5 milioni e mezzo di voti al ballottaggio, ma non dicono tutto. Emergono infatti alcuni interrogativi interessanti sulla tenuta di questo schema politico. Macron ha ormai digerito ciò che rimaneva dei partiti che hanno governato la V Repubblica dal 1958 al 2017. Les Républicains, eredi di De Gaulle, al 4,78 per cento e i socialisti, figli di Mitterrand, affondati addirittura all’1,75 per cento, sono riusciti a fare addirittura peggio del 2017 e versano in una crisi d’identità strutturale, essendosi appiattiti entrambi su posizioni progressiste rispetto alle quali escono battuti da chi come Macron ne è il campione in Europa. L’outsider Éric Zemmour, dopo una fiammata iniziale, non ha sfondato, contribuendo comunque a spostare il dibattito su temi culturali di fondo.

Si sono contestualmente rafforzati gli estremi. A sinistra ha impressionato il risultato di Jean-Luc Mélenchon, che proverà un consolidamento alle prossime elezioni parlamentari di giugno e che spera di entrare nel governo. La destra identitaria, a sua volta, ha guadagnato 2 milioni e mezzo di voti ma ha perso il terzo ballottaggio negli ultimi 20 anni (una volta Jean-Marie Le Pen, due volte sua figlia Marine). C’è chi già parla della candidatura nel 2027 di Marion Maréchal, la nipote di Marine, ma è chiaro che seguendo il trend delle ultime elezioni bisognerebbe comunque aspettare ancora 10 anni prima di vederla trionfare.

La necessità di unire un arcipelago

Di fronte a questo scenario, si pongono almeno due questioni di fondo. Macron, l’uomo-solo-al-comando, è segnato da una cultura fortemente antipolitica. Il rischio “buco nero” è dietro l’angolo: ogni opzione – socialista, liberale o popolare – viene inglobata nel flusso tecnocratico retto da una sola persona, il dibattito pubblico si atrofizza e ogni avversario è demonizzato, come ha recentemente sollevato il polemista Michel Onfray. Chi non fa parte del macronismo viene tacciato di ogni altro-ismo. Come si può, seguendo questo schema, giungere a una pacificazione nazionale, considerando la profonda spaccatura che emerge dal voto? E Macron sarà in grado di tramutare il proprio consenso personale in una storia politica che gli sopravviva?

Al contempo, la destra non propone un programma e una squadra di governo vincenti. Il gioco della destra identitaria, attraente ma fin troppo lineare, ha trovato il suo spazio – gli scontenti, gli arrabbiati della modernità – senza però riuscire a uscire dalle secche populiste. La Francia è un arcipelago, per citare il sociologo Jérôme Fourquet, segnato da molteplici fratture sociali ed economiche non congiunturali: le antinomie centro-periferia, occupati-disoccupati, élite-popolo sono qui per rimanere. Il punto politico è allora come riconnettere queste isole: si possono dare cultura, linguaggi e prospettive unitarie anche alle isole più lontane, senza lasciarle andare alla deriva? Con quali strumenti e coinvolgendo quali attori?

Verso una sintesi conservatrice

Come nella vita di ogni giorno, cultura, linguaggi e identità aperte si imparano facendo. Solo governando, in particolare a livello locale, gli impresentabili acquistano presentabilità, le loro idee si scontrano con la responsabilità per tutti. La conventio ad excludendum verso la destra identitaria va pertanto mitigata. D’altra parte, proprio questa destra necessita di riqualificare il proprio gruppo dirigente per rassicurare sulla tenuta degli enti in cui governa. Il tentativo, forse, più fine è quello di avvicinare la destra e le forze popolari verso una sintesi conservatrice. In Francia, si aprirà un cantiere in questo senso?

La Chiesa francese, curiosamente, non ha dato indicazioni di voto al ballottaggio a favore di Macron, cosa che fece in passato. Il mondo del lavoro e dell’impresa, i piccoli artigiani e commercianti, in Francia ma anche in Italia, guardano a questi movimenti scommettendo che dalla protesta reattiva si possa arrivare finalmente a una proposta solida di governo. Il geografo Christophe Guilluy, in un’intervista a Le Figaro, ha usato una espressione sintetica ed efficace:

«Stiamo assistendo a una responsabilizzazione reattiva della gente comune che attende un’offerta politica che non sia moralmente condannata».